
Tredicesima puntata della Rubrica "L'ultimo tassello del Biometano: il mercato". A cura di Tomas Carini, BPA Manager.
La pausa estiva rende tutto più leggero. O più pesante. Temporaneamente lontani dalla quotidianità, non ci siamo dimenticati che nel mondo del biometano il lavoro non si ferma mai. Quindi, con un occhio all’autunno in arrivo e un orecchio al mercato, un bilancio può essere utile in vista delle nuove, impegnative, sfide.
La produzione di biometano in Italia è stata incentivata con 3 Decreti: DM13, DM18 e DM22. Trascurando il primo per lo scarso impatto, il DM18 prevede che le matrici organiche possano essere di origine agricola o civile, come la Frazione Organica Rifiuto Solido Urbano (FORSU). Il biometano può essere prodotto sia sotto forma gassosa che liquida, a favore esclusivamente della decarbonizzazione del trasporto.
I produttori sono remunerati dal GSE con un importo fisso denominato Certificato di Immissione al Consumo (CIC) e con un importo variabile, cioè l’indice mensile del biometano (vedi grafico). Pubblicato gratuitamente dal GME all’inizio di ogni mese in riferimento al mese precedente, tale indice contiene due tipici prodotti del mercato del gas naturale (il che la dice lunga sulla prossimità dei due mercati). Quel prezzo viene ridotto del 5% e ciò costituisce la remunerazione per il produttore che, essendo esposto ai prezzi del gas naturale, può decidere di lasciare il GSE cercando offerte migliorative.
Il terzo Decreto, il DM22, quasi 3 anni or sono, ha definitivamente gettato le basi del mercato soprattutto per gli “altri usi”. Con uno stanziamento di 1,7 miliardi di euro dal PNRR, 257.000 Smc/h di capacità e 5 procedure competitive, si tratta a tutti gli effetti di una pietra miliare la cui eco è risuonata in tutta Europa. Molti investitori d’Oltralpe sono stati infatti attirati dai corposi incentivi in conto capitale (40% dell’investimento) e in conto esercizio, un vero e proprio prezzo fisso pagato dallo Stato (125 €/MWh agricolo, 70 €/MWh FORSU al netto degli aggiustamenti delle procedure competitive) grazie al quale il produttore, a differenza del DM18, non è esposto ai prezzi del gas naturale.
Con una capacità produttiva inferiore o uguale a 250 Smc/h si può scegliere tra Tariffa Omnicomprensiva (TO), cioè cedere il biometano al GSE, e Tariffa Premio (TP), che è il mercato. Chi invece ha una capacità superiore va in automatico a mercato con la TP. Il limite dell’immissione in rete è al momento il 30 giugno 2026.
È stato pubblicato poi il DL Agricoltura nel 2024, seguito dall’aggiornamento delle Regole applicative da parte del GSE nel 2025, spingendo sul mercato per aiutare i grandi industriali italiani hard-to-abate (HtA) (vedi articolo 6) a decarbonizzarsi risparmiando sulla “tassa sulla CO2”, da condividere quindi con il produttore (vedi articolo 1).
Ad oggi sono circa 150 gli impianti attivi in totale, per un volume al di sotto del miliardo di Smc/a. La strada è ancora lunga, perché entro il 2030 la produzione dovrà salire a 5 miliardi.
Nel frattempo, i primi accordi bilaterali sono stati conclusi: in questo mercato acerbo il biometano è stato contrattualizzato con i tradizionali fornitori di gas naturale i quali, offrendo certamente garanzie di solidità e competenza, presentano alcune problematiche:
- come essi stessi hanno dichiarato (vedi articolo 8), non hanno a portafoglio l’indice GME, il che crea al produttore e al suo finanziatore uno squilibrio rispetto alla tariffa, esponendoli all’andamento dei prezzi del gas naturale. È noto questo aspetto? Sembra di no, come ammesso da questi ultimi (vedi articolo 12);
- essendo intermediari, tratterranno inevitabilmente un margine;
- le Garanzie di Origine (GO) non vengono automaticamente annullate.
Emergono poi altri temi: il fatto che il produttore abbia ricevuto offerte di acquisto gli dà la garanzia che il suo interesse venga tutelato? E come confrontare tali offerte in autonomia? Ci sono le competenze in azienda? Esempio: come convertire la “tassa sulla CO2” da €/t a €/MWh? Ad oggi circolano almeno 3 coefficienti. Qual è quello giusto? E se si sceglie quello sbagliato si rischia di perdere quasi 2 €/MWh: con un impianto da 500 Smc/h (circa 45.000 MWh/a) si sfiorano i 100.000 €/a. Solo per questo. Varrebbe forse la pena affidarsi invece ad esperti che conoscono il mercato del gas naturale per aiutare il produttore di biometano a tutelare il proprio interesse bilanciando quello del suo cliente.
Cominciano quindi a prendere piede le gare: il biometano è scarso, la domanda supera l’offerta e quindi si mettono in competizione i clienti. Come procedere? La scrittura di un bando e di un capitolato ad hoc possono essere di aiuto: fornitori di gas naturale o industriali HtA saranno i benvenuti se accetteranno di partecipare a gare che siano “eque, chiare e trasparenti, per garantire condizioni giuste a tutti i partecipanti”, come dichiarato da Zoe Pagani, Environmental Commodities Broker presso AMS Green Markets (vedi articolo 11).
Ad oggi in Italia sono state completate 2 gare con DM18, 1 con DM22 e anche 1 per i carri bombolai. Lo stesso si può fare per la CO2, rendendo la produzione ancora più sostenibile. Il 30 giugno non è lontano: avviati i lavori, il momento è ora propizio per stipulare un accordo con un cliente solido e che abbia presentato l’offerta più alta, definita tale in modo oggettivo, attraverso una standardizzazione di un processo fondato sui numeri. Non si vuole fare la gara? Benissimo, ma i piatti della bilancia al momento sono a sfavore del produttore di biometano. Perché? Beh, per il semplice fatto che i suoi potenziali clienti sono più esperti.