COP30, Italia al 46° posto nel Climate Change Performance Index 2026

26 nov 2025
Il Rapporto, presentato alla COP30 in Brasile, registra una nuova frenata dell’Italia nelle politiche climatiche: -3 posizioni rispetto allo scorso anno, -17 rispetto al 2022. Il quadro evidenzia ritardi strutturali su rinnovabili, riduzione delle emissioni e politica energetica.

Nel 2025 l’Italia scivola al 46° posto nella classifica del Climate Change Performance Index 2026, stilata da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente. Un arretramento che consolida un trend negativo: dal 29° posto del 2022 l’Italia ha perso complessivamente 17 posizioni, rimanendo ben distante dalle migliori performance europee guidate da Danimarca (4°), Regno Unito (5°) e Marocco (6°).

“La fotografia del report conferma quanto poco stia facendo l’Italia nel contrasto alla crisi climatica. La nostra politica energetica resta miope e rischia di creare nuove dipendenze dall’estero, mentre un modello basato su fonti pulite, reti e accumuli potrebbe trasformare la Penisola in un hub delle rinnovabili”, ha commentato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.

Le principali criticità segnalate dal rapporto

Secondo l’analisi, tra il 1990 e il 2023 le emissioni italiane sono diminuite del 26,4%, ma con le politiche attuali – sottolinea Ispra – la riduzione al 2030 non supererà il 42%, ancora lontana dagli obiettivi europei.

A pesare è soprattutto la crescita insufficiente delle rinnovabili: nel 2023 la quota sul consumo finale lordo si è fermata al 19,6%, ben sotto il 39,4% previsto dal PNIEC.

Un giudizio severo arriva anche da Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente: “Il Piano nazionale è poco ambizioso e continua a puntare su false soluzioni, come CCS e nucleare, che ruberanno tempo e risorse al Paese. Posticipare il phase-out del carbone al 2038 indebolisce ulteriormente la competitività dell’Italia”.

Il quadro globale: chi sale e chi scende

Il report valuta le performance climatiche di 63 Paesi più l’UE, responsabili di oltre il 90% delle emissioni globali. L’indice assegna il 40% del punteggio al trend delle emissioni, il 20% allo sviluppo delle rinnovabili, il 20% all’efficienza energetica e il restante alla politica climatica.

Come ogni anno, le prime tre posizioni non vengono assegnate: nessun Paese è ancora in linea con la traiettoria per contenere il riscaldamento entro 1,5°C.

Sul podio delle migliori performance disponibili ci sono Danimarca (4°) - forte crescita delle rinnovabili offshore e riduzione costante delle emissioni; il Regno Unito (5°) – politica climatica più ambiziosa e phase-out del carbone; Marocco (6°) – emissioni pro capite molto basse e investimenti nel trasporto pubblico.

In fondo alla classifica dominano i grandi esportatori di combustibili fossili: Russia, Stati Uniti, Iran, Arabia Saudita.

Tra i Paesi del G20, solo il Regno Unito è nella fascia alta. Italia, Sudafrica e Indonesia restano nel gruppo basso.

Cina e India: i grandi emettitori sotto osservazione

La Cina, primo emettitore mondiale, sale al 54° posto (+1). Pur accelerando su rinnovabili, batterie e mobilità elettrica, le emissioni continuano a crescere per l’ampio ricorso al carbone. Nel primo trimestre dell’anno si registra tuttavia un primo segnale di declino, che potrebbe indicare il picco.

La peggiore performance tra i grandi emettitori è quella dell’India (23°), che arretra di 13 posizioni a causa dell’aumento delle emissioni legate alle nuove centrali a carbone, nonostante l’espansione delle rinnovabili.

L’Unione Europea perde terreno

L’UE scende al 20° posto (-3), penalizzata dalla performance della Germania (22°, -6) legata ai nuovi progetti di impianti a gas. Si distingue invece la Spagna, che sale al 14° posto grazie a una politica climatica più efficace.