Va detto subito che la Conferenza è stata un successo dal punto di vista organizzativo e scientifico. Ricercatori e operatori del settore di ogni Paese hanno apprezzato esplicitamente la qualità degli argomenti e delle presentazioni e la professionalità dell’organizzazione delle sessioni. Tutti hanno apprezzato l’entusiasmo e la competenza dei nostri giovani ricercatori, gli Young Water Professionals, che sono inseriti nei principali network internazionali e si confrontano quotidianamente alla pari con i colleghi di tutto il mondo.
La struttura della Conferenza era esplicitamente mirata a integrare la professionalità e l’azione degli operatori del settore con le innovazioni proposte dal mondo della ricerca. Nella sessione di apertura Juan Lema, chair del network Water2020, ha chiaramente evidenziato la necessità di questa connessione. A questo scopo ha presentato un caso virtuoso, realizzato in Spagna, dove decine di Università, Aziende ed Enti del Servizio Idrico ed Enti Territoriali hanno insieme partecipato a un progetto nazionale finalizzato a rendere più competitivo l’intero sistema spagnolo del trattamento delle acque reflue.
Le tre relazioni plenarie hanno continuato questo percorso.
La prima relazione, presentata da Diego Rosso e Daniel Nolasco, ha evidenziato i problemi tecnici, economici ed ambientali più comuni che si rilevano negli impianti di depurazione e ha illustrato gli interventi per risolverli e minimizzare nel contempo l’impatto ambientale. Se si considera che il 50% dell’energia consumata da un impianto di depurazione è dovuta all’aerazione dei liquami, si comprende l’utilità del seminario di lavoro che Rosso e Nolasco hanno tenuto nella giornata di giovedì 26, con applicazioni pratiche su dimensionamento e gestione del sistema di aerazione dei liquami.
La seconda relazione, tenuta dal prof. Mauro Majone, ha invece mostrato come sia possibile estrarre biopolimeri dai normali batteri presenti in qualsiasi impianto di depurazione e alimentati dai liquami di fogna. Il “trucco” è di applicare modalità operative semplici, ma attentamente controllate. In questo caso non si tratta di prospettive di applicazione immediata, ma sono in corso ricerche a scala pilota e pre-industriale, avendo il 2020 come orizzonte temporale per la diffusione di processi e tecnologie.
La terza relazione, presentata da Abraham Esteve ha messo in luce come sia possibile passare dalla teoria alla pratica in un campo ritenuto pressoché fantascientifico fino a pochissimi anni fa. Le teorie di termodinamica bio-elettrochimica da lui applicate hanno portato a una prima realizzazione a scala reale di un trattamento biologico che consuma pochissima energia e produce pochissimi fanghi (ndr: i sottoprodotti della depurazione). Non è quindi corretto dire che “si produce elettricità dai batteri” (anche se ciò è vero alla scala di laboratorio), ma è corretto dire che si rivoluzionano i paradigmi fondamentali dei trattamenti biologici, con risparmi potenziali notevoli in termini di minori consumi energetici e di minore produzione di fanghi.
Le 139 relazioni orali e i 99 poster che completavano le sessioni scientifiche hanno descritto ricerche e casi di studio reali che dimostrano la fattibilità di tecniche innovative, sostenibili da un punto di vista tecnico, economico ed ambientale.
A fronte di tale forte successo internazionale, si deve, purtroppo, prendere atto che la risposta delle aziende multiservizi (i gestori del Servizio Idrico) è stata inferiore alle aspettative: tra i 300 delegati partecipanti all’intera conferenza, provenienti da 47 Paesi, sono stati meno del 10% i partecipanti provenienti dalle aziende italiane del servizio idrico. In Italia, il gap tra pratica gestionale e applicazione delle soluzioni innovative è significativo. E’ una situazione particolarmente sentita in Italia, che sconta una carenza profonda di cultura tecnico-scientifica. Spesso i temi della tutela ambientale sono affrontati senza che vi sia consapevolezza delle basi tecnico-scientifiche, spesso anche da parte di chi deve operare. Le collaborazioni tra servizi idrici e Università sono spesso di corto respiro. Le Università sono chiamate in causa come consulenti tecnico-scientifici per “tamponare” problemi contingenti (ad esempio: gli odori molesti), oppure a inseguire (spesso con affanno) i limiti allo scarico sempre più restrittivi imposti dalle normative comunitarie per l’esigenza di ridurre l’impatto ambientale sui corpi idrici, ma senza un disegno complessivo e “di sistema”, che possa rendere più organica la collaborazione.
I termini per stabilire una collaborazione meno estemporanea e più strutturata sono diversi: si tratta di rispondere a esigenze crescenti sotto il profilo della tutela ambientale ricercando la massima efficienza con soluzioni innovative sostenibili e ottimizzate non solo sotto il profilo tecnico e ambientale, ma anche in termini economici, con tariffe sostenibili e adeguate alla qualità del servizio reso.
Certamente più evoluta è la situazione in altri Paesi europei, in primis Spagna e Olanda. Da questi Paesi sono arrivati contributi fondamentali, anche grazie alla stretta collaborazione tra Ricerca e Società di gestione dei servizi idrici. Esistono naturalmente eccezioni, ma anche dove, in Italia, si contano situazioni di eccellenza, resta grave la distanza tra i due mondi. Da un lato occorre che l’accademia dimostri la fattibilità pratica delle innovazioni proposte, mentre, d’altro canto, il mondo dell’industria deve aprirsi a una collaborazione di più ampio respiro e di più lungo orizzonte temporale. Va riconosciuto che ciò è oggi reso ancora più difficile se si considera che i finanziamenti statali alla ricerca sono assai esigui, specie in questo settore.
In Italia, per quanto riguarda i promotori di ecoSTP2014, si continuerà a insistere per rendere più organici e complementari i legami tra ricerca applicata e industria, che esistono, ma sono ancora troppo sporadici e occasionali. Uno strumento utilissimo a questo riguardo è il Programma quadro della Ricerca Europea 2014-2020 (Horizon 2020) e i programmi Life+, che si prefiggono di dimostrare la pratica applicabilità di nuove idee progettuali. La nostra speranza è che si riesca a coinvolgere il mondo industriale e le aziende del servizio idrico nella redazione di proposte progettuali da sottoporre alla Commissione Europea, insieme ai colleghi degli altri Paesi Europei con cui da tempo sono attivi ottimi rapporti.
Grazie a queste collaborazioni e al supporto alla ricerca con i fondi europei che sapremo conquistarci, sarà possibile aprire qualche prospettiva anche ai nostri giovani migliori.
A questo proposto si deve ribadire con forza che l’industria del settore idrico deve valorizzare maggiormente le professionalità dei giovani ingegneri e professionisti sfornati dall’Università. Figure di questo tipo hanno la preparazione per interagire con cognizione di causa con la ricerca applicata, mentre non è possibile attivare contatti fruttuosi se chi gestisce la depurazione non ha le basi scientifiche e culturali adeguate. Tutto ciò richiede naturalmente del tempo e molta capacità di discernimento da parte di chi ha la responsabilità di decidere a chi affidare la direzione tecnica di un servizio essenziale come quello idrico, che riguarda tutti i cittadini-utenti.