
1. Consumi idrici per settore Le occasioni per ribadire – con dati e numeri – quanto sia urgente agire per tutelare la risorsa idrica si moltiplicano, tanto a livello locale che globale. Lo hanno ricordato le Nazioni Unite con la recente Giornata Mondiale dell’Acqua, dedicata alle acque sotterranee e il World Economic Forum, inserendo l’emergenza idrica tra i rischi a maggior impatto per il pianeta.
Secondo i dati della European Environmental Agency, il prelievo complessivo di acqua in Italia, al lordo delle perdite di rete, si è ridotto nel corso degli ultimi trent’anni: dai 43,5 miliardi di metri cubi del 1990, si è scesi a 33,2 nel 2017. Tale evoluzione è ascrivibile principalmente al settore agricolo, da sempre primo consumatore di acqua del nostro Paese con oltre il 50% dei prelievi, e in minor misura al settore manifatturiero e delle costruzioni. Il Servizio Idrico Integrato (SII) attualmente assorbe invece circa il 20% della domanda di risorsa idrica. Circa il 75% dei consumi di acqua in Italia, dunque, è esterno al perimetro della regolazione ARERA: intervenire per ridurre lo spreco dei consumi di acqua delle famiglie, pur costituendo una misura necessaria, è poca cosa se non coordinata in una strategia complessiva rivolta anche agli altri usi.
2. L’uso di acqua per scopi produttivi in Italia
Gli ultimi dati disponibili mostrano come nel 2015 siano stati prelevati quasi 9,5 miliardi di metri cubi per uso civile da oltre 1.800 operatori, attivi sul territorio nazionale (Istat, 2019). Da una rielaborazione sui volumi di acqua fatturata dai gestori del SII, risulta che l’uso domestico incide per il 65% sui consumi idrici. Tra gli altri usi assimilabile al civile troviamo l’uso pubblico disalimentabile (fontanelle cittadine) e l’uso pubblico non disalimentabile (ospedali, carceri e scuole): nel complesso, l’uso pubblico esprime appena il 6% dei consumi idrici nel SII.
Tra le utenze produttive, troviamo l’uso artigianale e commerciale (9%) e gli altri usi (8%), mentre è quasi inesistente l’uso agricolo e zootecnico (1%). L’uso industriale rappresenta circa l’11% del consumo annuo del SII: le aziende industriali che esprimono elevati fabbisogni idrici hanno poca convenienza ad allacciarsi alla rete acquedottistica pubblica, non necessitando di acqua potabilizzata e beneficiando di un costo più basso dell’acqua prelevata in natura. Secondo i dati Istat (2015), il settore industriale consuma circa 3,8 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno, di cui ben 3,5 miliardi provenienti da fonti autonome. Tre settori esercitano una elevata domanda di acqua, rappresentando da soli più del 40% del totale: prodotti petroliferi e prodotti chimici, prodotti in metallo, gomma e materie plastiche. Tessili e alimentariesprimono una domanda per settore che si aggira tra l’8% e il 9%: per entrambi, solo il 16% del totale di acqua utilizzata proviene dal SII, mentre il restante 84% da propria fonte autonoma. Infine, i settori estrazione di minerali, siderurgia e automotive si approvvigionano unicamente da fonti proprie.
3. Le politiche ambientali “market based”
Considerato quindi lo stato dell’arte rispetto ai quantitativi idrici consumati e alla specificità dei soggetti coinvolti, è opportuno chiedersi quali strumenti economici a disposizione siano i più adatti per incentivare il risparmio idrico negli usi produttivi. Vi sono quelle più tradizionali che si servono di norme, divieti e sanzioni, e poi vi sono quelle basate su cosiddetti “strumenti di mercato” come tasse, incentivi e sussidi. Tali strumenti si basano sul principio del “chi inquina, paga”, che può essere adattato all’idrico in modo che i costi ambientali vengano imputati “a chi utilizza in modo inefficiente la risorsa scarsa”.
Per farlo, tuttavia, si richiede un cambio di approccio di tutto il sistema, caso in cui uno strumento più tradizionale come la tassazione potrebbe non essere il più adatto allo scopo. L’intervento dell’Autorità in tariffa potrebbe condizionare una quota marginale dell’acqua utilizzata nei processi produttivi, provenendo essa per lo più da fonte privata. Sarebbe necessario prevedere un meccanismo di incentivazione trasversale al settore industriale, che si rifaccia al principio del “chi inquina, paga”, ma che sia indipendente dalla matrice di approvvigionamento.
4. L’introduzione dei Certificati Blu
Un’opzione percorribile è quella di creare un mercato specifico per il risparmio idrico attraverso permessi negoziabili, come nel caso dei Certificati Bianchi per l’efficientamento energetico. Un Certificato Blu andrebbe a riconoscere il risparmio nell’uso finale di acqua, premiando le imprese con un certificato per ogni litro di acqua non usata. Questo risparmio potrà essere correlato ad interventi quali innovazioni di prodotto o di processo che riducano il consumo di acqua come input produttivo.
Il perimetro dei soggetti obbligati potrebbe essere individuato facendo riferimento a due grandezze: l’intensità idrica di settore e l’incidenza del consumo di acqua dei singoli settori sul totale di acqua utilizzata a fini produttivi. Alle imprese obbligate dovrà essere attribuito un obiettivo di risparmio annuale, che potrà essere raggiunto attraverso interventi di efficientamento oppure acquistando i Certificati Blu sul mercato. Gli obiettivi assegnati dovranno incentivare al risparmio senza pregiudicare la continuità aziendale: potrebbero quindi essere correlati al settore industriale di appartenenza. Le imprese non facenti parte dei settori obbligati potrebbero comunque aderire volontariamente al meccanismo. Il soggetto chiamato a gestire il meccanismo sarebbe per definizione il Gestore dei servizi energetici (GSE), che dunque si porrebbe nella prospettiva allargata di gestore dei servizi ambientali.
Infine, qualche considerazione rispetto al prezzo: sarà necessario stabilire un valore in grado di rendere conveniente per i soggetti obbligati la preferenza per l’intervento di risparmio idrico piuttosto che l’acquisto di certificati nel mercato.
5. ESCo del settore idrico
Una barriera alla implementazione dei Certificati Blu potrebbe essere legata alla difficoltà dei soggetti coinvolti a individuare gli interventi per il risparmio idrico. Nel campo dell’efficienza energetica le Energy Service Companies (ESCo) assistono il cliente in questo ambito, individuano i migliori interventi realizzabili dal punto di vista tecnico, commerciale e finanziario. Esistono soggetti equiparabili per gli interventi di risparmio idrico: si tratta delle Water Serving Services Companies (WSSCo), già attive in Cina. Esse si occupano di raccogliere capitale per i progetti di efficientamento idrico promossi da clienti, assumendosene il rischio finanziario. Durante la durata del contratto, le operazioni di ruotine e la manutenzione sono a carico della WSSCo. Alla scadenza, la proprietà dell’opera e gli oneri per il suo mantenimento passano in capo al cliente finale, il quale diviene l’unico soggetto a godere dei benefici da esso derivanti fino alla dismissione della tecnologia.
Per approfondire
Risparmio e tutela della risorsa idrica: verso i Certificati Blu per gli usi industriali?, Position Paper n. 215, Laboratorio REF Ricerche – giugno 2022