Il gas russo e la salvezza per l'Italia

03 giu 2025
Il ritorno della fornitura russa di gas per rilanciare l'industria nazionale e attestarsi come partner commerciale attendibile nel mare della globalizzazione. Articolo a cura di Pierpaolo Signorelli.

I colloqui di pace  fra Russia e Occidente, vanno molto a rilento, al punto che non regge nemmeno una tregua di qualche giorno. Sia il gruppo dei volenterosi del 10 maggio, come anche l'incontro ad Instanbul, dove poi i protagonisti non si sono presentati, non hanno raggiunto risultati tangibili. Si sta lavorando al Memorandum della delegazione russa, ma è procedura lenta che poi dovrà comunque essere elaborato dalla controparte ucraina.

Al momento il solo risultato positivo è stato lo scambio di prigionieri; ma è solo un interludio fra ricorrenti azioni belliche, aventi come fine l'acquisizione di posizioni di maggior vantaggio ai tavoli dei negoziati. E non sembra che la Russia non abbia fretta di chiudere un accordo, disponendo di ampie risorse proprie e dell'appoggio della Cina, condizioni che le consentono di allungare la trattativa.

Per l'Ucraina la situazione è opposta, perché il supporto americano tentenna, visto che Trump è restio a impegnare finanziariamente gli USA, dato lo stato delle finanze americane.  Mentre l'Europa, che di risorse militari da elargire ne ha ormai ben poche avendo già destinato quelle che aveva, tentenna e bisbiglia. Non sembra, dunque, che sia il lato prettamente militare quello dove si può pensare di sbloccare positivamente i negoziati, anche se la Russia ci spera sempre.

La via commerciale del gas per arrivare alla pace

Come sciogliere allora il nodo gordiano che costringe la diplomazia? Forse la via commerciale  potrebbe risultare una valida alternativa, soprattutto per il binomio Ucraina-UE che si ritrovano, per il mutevole modificarsi degli eventi, a convergere verso una  di posizione  reciproco appoggio economico.  Se per l'Ucraina è chiaro che occorre un nuovo piano Marshall, dal canto suo l'UE nell' ultimo quinquennio, orientativamente dal covid in poi, si è sempre più scoperta vaso di coccio fra i vasi di ferro, essendo quest'ultimi i paesi leader della globalizzazione (Cina, USA, Russia). E la guerra  ha messo in evidenza  tutti i suoi limiti metodologici e ritardi operativi. In particolare presenta un deficit proprio nelle politiche che vorrebbe perseguire con maggiore vigore, a cominciare dal piano RepowerUE, i cui obiettivi sono, per universale convincimento, molto difficili e costosi da raggiungere.

Ha quindi tutto l'interesse a facilitare gli incontri e i colloqui di pace, offrendo una via alternativa a quelle fin qua percorse. Potrebbe essere quella del gas, ma l'UE ha inspiegabilmente già definito una road map per la quale da qui a due anni, cesserà le importazioni di gas russo. E sembra un passo falso quanto mai svantaggioso. Per cominciare la transizione energetica necessita con tutta probabilità di un arco di tempo maggiore di quanto preventivato dalla Commissione.  Inoltre, già da tempo è stato individuato nel gas il vettore "ponte", capace di traghettare l'economia europea, specie in queste fasi così difficili, verso gli ambiziosi target di decarbonizzazione, in considerazione della sua ecletticità e per la presenza diffusa su tutto il  territorio continentale.

Eppure, malgrado la pace e la riapertura dei rapporti commerciali con la Russia oltreché possibile siano anche un passo obbligato, l'Europa si attesta su posizioni estremamente rigide e non ha avanzato proposte capaci di avvicinare russi ed ucraini.  E il raggiungimento della pace è fattibile, come il recente rapporto della JPMorgan Chase che, nell'analizzare lo scenario prossimo venturo per i propri investitori,  stima come altamente probabile il "congelamento" delle ostilità dei due contendenti entro la fine dell'anno in corso. Ma occorre uno spunto aggiuntivo per far decollare "il cessate il fuoco" in una pace equa, sostenibile e duratura. E questo spunto potrebbe essere fornito proprio dall'UE attraverso il commercio delle commodity e delle terre rare. Soprattutto se avvierà il processo per far entrare l'Ucraina nell'UE. Questa è sicuramente la miglior carta che possa vantare nei confronti del paese invaso e che si deve giocare rapidamente.

Effetti della politica daziaria statunitense sui corsi dell'energia

Può sembrare paradossale, ma l'antagonista principale per la via commerciale  nei trattati di pace non è la Russia di Putin, ma l'America di Trump. Il fatto è che il presidente americano con la politica daziaria ultra aggressiva sta mettendo in un vicolo cieco il proprio paese e di riflesso l'UE, coinvolgendo l'Italia che dell'Europa, è l'anello debole.

La politica trumpiana parte dall'ingente debito pubblico americano che non riesce a sostenersi col risparmio privato nazionale. Ed è una spada di Damocle gigantesca che deve trovare una risposta positiva perché se andasse fuori controllo causerebbe il default pubblico degli USA. È uno scenario ancora remoto, ma non impossibile. Soprattutto sono i tempi di correzione della rotta che preoccupano, perché l'economia americana è la più grande del mondo e necessita risorse davvero poderose e di tempi importanti per risanarsi. Pertanto, per far fronte allo squilibrio si cercano risorse all'estero attraverso l'apposizione di dazi su varie merci: semilavorati, componentistica e, soprattutto, beni finiti. Ovviamente la prima a farne le spese è la Cina; ma anche l'Europa se la passa male, specie l'Italia con i suoi brand "made in Italy".  La partita dei dazi è appena cominciata  e si ignorano quelli che possano essere gli andamenti e gli esiti, anche perché s'innestano  le questioni dell'energia e quelle della guerra.

La politica daziaria ha certamente contenuto la spinta alla crescita mondiale tanto che l'Agenzia Internazionale per l'Energia stima che il clima di incertezza dovuto ai dazi spingerà al ribasso la domanda di greggio: 1,03 milioni di barili al giorno si scenderà a 730 mila, fino a 690 mila nel 2026. Con un prezzo Goldman Sachs prevede entro fine anno un calo dei prezzi per il Wti a 59 dollari nel 2025. E qui s'innesta un grande problema perché gli Usa negli ultimi 5 - 7 anni attraverso la tecnica dello shale oil/gas sono divenuti un paese esportatore di idrocarburi. Però, come noto la tecnica estrattiva è costosa, ed è conveniente al di sopra dei 60$ a barile, soglia limite che i mercati hanno già toccato.

Non solo mai paesi Opec+ con in testa l'Arabia Saudita, non hanno ridotto la capacità produttiva in misura pari alla riduzione della domanda, cosicché il prezzo del petrolio tenderà a scendere ancora. Ed anche il gas subirà delle flessioni, minori, perché i due mercati non sono più interconnessi come una volta, ma comunque importanti. Pertanto affinché il prezzo del gnl rimanga a livelli accettabili per l'offerta – ed il principale produttore al mondo di gnl sono proprio gli USA – è fondamentale che il gas russo non torni a scorrere verso l'Europa.

Ed anche la Commissione UE è, per apparente paradosso, allineata su tale posizione: se le forniture di gas russo fossero ripristinate, almeno nella tratta storica, quella che arriva a Tarvisio, il prezzo del gas potrebbe scendere così tanto da riflettersi sui prezzi dell'energia elettrica e non rendere più competitive le installazioni FER, impedendo così la riuscita del RepowerUE: affinché le rinnovabili si diffondano occorre che il prezzo del gas rimanga artificiosamente alto, giustificando così scelte impiantistiche che trovano la loro giustificazione in un'impostazione politica anziché di mercato liberale.

L'importanza del gas russo per l'industria italiana: l'allarme di Confindustria

Per paesi come l'Italia dove il gas è la fonte maggiormente impiegata, tale politica europea è più che dannosa, è rovinosa: non solo il gas ci costa di più sui consumi diretti come il riscaldamento, ma si riverbera in forma accresciuta su quelli indiretti come la generazione elettrica. E le bollette per famiglie e imprese sono tanto care da risultare insostenibili. Ed è esattamente ciò che presidente di Confindustria Emanuele Orsini nel corso dell'assemblea annuale a Bologna ha dichiarato al presidente del consiglio, la signora Giorgia Meloni anch'ella presente, sostenendo che "occorre agire immediatamente perché la perdita di competitività del sistema Italia rischia di divenire tanto grande da non essere più colmabile".

E Meloni ha rimarcato la scarsa collaborazione dell'UE che è sorda alle richieste di diluire su un arco di tempo più lungo la scadenza del RepowerUE, affinché le economie nazionali possa spalmare i costi della transizione in modo meno gravoso.

La stagnazione economica in Europa e l' evanescenza della Commissione nelle trattative di pace

Al momento la situazione economica europea registra una forte perdita di competitività, un basso tasso di innovazione, una crescita di salari e consumi inferiori agli USA e ai paesi del BRICS, (escludendo la Russia che è in stato di guerra). La politica daziaria di Trump potrebbe essere un colpo durissimo, da cui l'EU non si riprenderà se al contempo non recupera con la Russia e la Cina. 

Fino al 2022 circa (annus horribilis di pandemia e guerra) la forza economica principale dell'UE sui mercati internazionale era il suo potere d'acquisto. Gli altri paesi hanno  altri punti di forza, per gli USA è l'innovazione, per la Cina il sistema produttivo, per la Russia le materie prime ecc. Tuttavia, la corsa forsennata alla decarbonizzazione – unico caso  al mondo di un aggregato sovranazionale impegnato in simile obiettivo – sta depauperando l'Europa, perché le aziende, anche grandi come la Volkswagen devono ridimensionarsi o addirittura chiudere, le maestranze vanno a casa e la domanda interna non sorregge più consumi e produzione, avvitandosi in un loop implosivo.

Per uscire da simile impasse occorre  modificare i propri assetti commerciali, cercando di far valere la propria voce nei trattati di pace, portando l'Ucraina più vicino alle posizioni europee e  la Russia a collaborazioni bilaterali più aperte. Se infatti gli americani avranno la gran parte dei diritti di sfruttamento dei minerali preziosi e/o critici dell'Ucraina, che cosa resterà alla vecchia Europa per riprendersi? Quale potrà essere la dote che l'Ucraina, paese bisognoso di tutto, offrirà all'UE nel percorso di adesione? Mentre per la Russia è fondamentale riallacciare i più ampi rapporti commerciali con i suoi vecchi partner europei, specie l'Italia con cui commercia già dalla seconda metà degli anni '50. Come si può pensare di arrivare ad una pace duratura se poi l'UE impone di non comprare più gas dalla Russia? Di pacifico non sembra avere nulla; anzi appare come  la premessa per una nuova epoca di tensioni.

I vantaggi per l'Unione Europea e per l'Italia dai nuovi assetti commerciali

La possibilità di accedere tramite commerci alle disponibilità di Russia e Ucraina consentirebbe all'Europa e all'Italia di potersi riprendere, scontando dei costi di produzione più bassi di quelli attuali recuperando competitività e, più ancora, una strategia economica di medio–lungo periodo. Al momento se si esclude la decarbonizzazione che cosa resta di politica industriale?

Con la nuova opzione, invece, si può aprire la strada al secondo passaggio, ossia il tentativo di riaprire i negoziati della via della seta con la Cina secondo un nuovo, diverso criterio. Atteso infatti, che la capacità produttiva cinese è ineguagliabile, specie per produzioni di scala grande o grandissima, le nostre aziende locali, anche perché piagate dal caro energia, non riescono a tenere il passo e, spesso, devono chiudere. Ma, se si aprono negoziati di pace e di commercio con la Russia e si  dispone nuovamente del suo gas, l'Italia, ma un po' tutta l'Europa del centro est che non ha sbocco sul mare, può tornare ad essere attrattiva per investitori stranieri, in primis i cinesi.

Ed solo con i cinesi che si può pensare di realizzare in modo non svantaggioso la transizione energetica in Europa, perché hanno le più grandi produzioni al mondo di impiantistica FER e mobilità elettrica.  Occorre che producano in Europa, in Italia, con personale assunto in loco, avviando processi produttivi performanti. E a  tale indirizzo di scelta portano i dazi americani: la presente amministrazione non vede infatti di buon occhio uno sviamento di UE e Cina dalla rete daziaria, eventualità che se si verificasse vedrebbe degli extra dazi punitivi vero l'Europa come più volte ammonito da Trump. Però nulla vieta che i cinesi vengano in Europa e scelgano l'Italia, dove il costo del lavoro è in termini reali quello meno cresciuto negli ultimi trent'anni, per attivare distretti industriali specifici per l'economia green. Ma occorre che nel frattempo torni a scorre il gas russo e le materie critiche ucraine siano disponibili, senza le quali non si riacquisisce attrattività per gli investitori.

La vera partita industriale del prossimo ventennio si gioca a partire da trattati di pace di adesso.