Energia, Unem: rinnovabili non tengono il passo della domanda

12 dic 2025
Valori in crescita ma la transizione procede più lentamente di quanto sperato. Il quadro è aggravato dagli effetti delle sanzioni alla Russia, che hanno spostato i flussi di fornitura verso Paesi extra-UE rendendo più complesso e costoso l'approvvigionamento europeo. Articolo di Daniela Marmugi

Nonostante il contesto geopolitico instabile, non si arresta la crescita della domanda mondiale di energia, che registra un aumento dell'1,8% dovuto all'incremento demografico e al miglioramento della qualità di vita nei Paesi in via di sviluppo, mentre le rinnovabili non riescono ancora a sostituire le fonti tradizionali e coprono solo in parte la domanda addizionale. È il quadro che emerge dal Preconsuntivo energia e mobilità 2025 presentato nella mattinata di ieri dall'Unione energie per la mobilità (Unem).

A illustrare i dati nel dettaglio è stato il presidente Gianni Murano: nel 2025 il petrolio si conferma la prima fonte di energia a livello mondiale, con una quota superiore al 33%, a cui seguono il carbone, intorno al 27%, e il gas naturale, circa il 25%. Le rinnovabili salgono di qualche punto percentuale fermandosi al 9% rispetto al 6% del 2015, mentre il nucleare si posiziona poco oltre il 5%.

Non solo a livello mondiale ma anche europeo, ha spiegato Murano, si tratta di valori molto simili a quelli dello scorso anno e non troppo lontani nemmeno da quelli di venti anni fa, a riprova di come il percorso di transizione sia più lento di quanto spesso venga rappresentato nel dibattito pubblico.

L'influenza geopolitica sul mercato: il caso della Russia

Se a livello globale si registra una graduale diminuzione dei costi dell'energia, in particolare negli Stati Uniti e in Cina, molto diversa è la situazione europea, dove le sanzioni alla Russia e la scarsità di produzione locale, anche a causa delle politiche comunitarie, hanno determinato prezzi record soprattutto in Italia, incidendo sulla competitività delle imprese e quindi sulla domanda.

Un confronto con il 2022 (pre-sanzioni alla Russia) mette in evidenza cambiamenti strutturali rilevanti: traendo vantaggio dall'aumento della domanda di petrolio, gli Stati Uniti hanno aumentato la loro produzione di circa 3 milioni b/g, mentre Arabia Saudita e Russia hanno ridotto la loro rispettivamente di 1 e 0,5 milioni, modificando i rapporti di forza nel mercato petrolifero globale.

Ciononostante, ha sottolineato il presidente, è importante notare quanto l'andamento dei prezzi rifletta sempre meno l'attuale situazione geopolitica, con una minore influenza dei conflitti sul mercato, e segua in misura sempre maggiore la pura legge della domanda e dell'offerta.

Nonostante le nuove sanzioni statunitensi ed europee entrate in vigore tra ottobre e novembre 2025, la Russia ha infatti mantenuto una produzione sostanzialmente invariata rispetto ai valori storici pari a circa 10 milioni b/g, così come stabili sono rimaste le esportazioni, circa 5 milioni b/g. Uno degli effetti collaterali delle sanzioni è stata infatti la riorganizzazione dell'export di greggio russo Urals, che si è "delocalizzato" verso i Paesi che non hanno applicato le sanzioni, primo tra tutti l'India, offrendo di fatto un vantaggio competitivo significativo alle raffinerie extra-Ue che hanno continuato a utilizzarlo a prezzo scontato.

Il paradosso, dunque, è che le sanzioni russe hanno generato l'effetto opposto a quello desiderato, determinando una concorrenza asimmetrica e un danno da 15 miliardi di euro all'anno in termini di mancati ricavi per le raffinerie dell'Ue.

Di fronte a questo scenario anche l'Agenzia Internazionale per l'Energia (AIE), da sempre sostenitrice dell'incremento delle rinnovabili nel mix energetico, ha recentemente riconosciuto l'importanza di continuare a investire nell'oil&gas e in particolare nell'esplorazione per mantenere la sicurezza energetica degli approvvigionamenti e ridurre la dipendenza da altri Paesi in grado di offrire il prodotto a prezzi più bassi.

Lo scenario italiano

Continuando il suo intervento, Murano ha definito "miracolo italiano" l'attuale situazione del nostro Paese: nonostante il costo record dell'energia, infatti, nel 2025 la domanda energetica, pari a 142,1 Mtep, si è mantenuta su livelli simili a quelli del 2024 (0,3%).

Pur essendo la terza fonte energetica già dal 2007 dopo petrolio (52,6 Mtep) e gas naturale (51,9 Mtep), è da notare come le rinnovabili abbiano registrato per la prima volta dal 2022 una lieve diminuzione (-0,9%), legata soprattutto alla minore produzione idroelettrica, nonostante gli ingenti investimenti finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Considerando i soli prodotti per la mobilità, la benzina (+3,9%) sfiora i 9 milioni di tonnellate tornando così sui livelli del 2011, quando però la quota delle auto a benzina sull'immatricolato era nettamente inferiore (40% rispetto al 70% attuale), mentre il biometano rappresenta solo il 30% del carburante consumato su strada. Questo dato appare particolarmente sorprendente alla luce delle politiche e gli sgravi fiscali dedicati a questo vettore energetico sostenibile.

Diverso il discorso per il trasporto aereo, dove il consumo di jet fuel è aumentato in linea con la crescita del traffico aereo. Ricollegandosi a quanto già detto, Murano ha sottolineato come circa il 65% delle importazioni italiane provenga da quei paesi, come Turchia e India, che ad oggi utilizzano greggio russo, e dunque soggetti a possibili sanzioni in vigore da gennaio 2026. Se ciò avverrà, un Paese così dipendente nell'approvvigionamento come l'Italia rischia una disponibilità non sufficiente del prodotto e un boom dei prezzi insostenibile.

In controtendenza il bunker marina, ossia il carburante impiegato dalle navi, il cui consumo è diminuito del 15,4%, nonostante l'aumento del traffico, a causa delle nuove modalità di navigazione più efficienti adottate nel rispetto dei primi target di riduzione delle emissioni previsti dall'ETS.

Passando alla distribuzione carburanti, l'analisi Unem ha registrato per il 2025 un ulteriore aumento di marchi presenti sul mercato, che dai 310 dello scorso anno è arrivato a 322, determinando una maggiore frammentazione e una conseguente minore efficienza del servizio. Tale circostanza, ha spiegato il presidente, deriva non soltanto dall'attuale quadro normativo, ma soprattutto da un'applicazione disomogenea delle norme a livello locale: basti pensare che una città come Milano ha, a parità di area, circa la metà delle stazioni di servizio presenti a Roma.

Lo scenario economico italiano

A fare il punto sullo scenario economico del nostro Paese è stato Alessandro Fontana, Direttore Centro Studi Confindustria. I più recenti dati trimestrali sul PIL presentati confermano che l'economia italiana sta attraversando una fase di crescita piuttosto debole.

Alcuni segnali positivi, tuttavia, emergono sul fronte macroeconomico: in particolare, il progressivo rientro dei tassi di interesse sta allentando la pressione su famiglie e imprese, mentre il recupero del reddito disponibile può sostenere gradualmente i consumi. Un elemento potenzialmente decisivo è l'attuazione del PNRR: si ipotizza una spesa di circa 65 miliardi nel biennio 2025-2026, metà dell'intero piano rimanente (130 miliardi), che potrebbe generare un impulso significativo alla domanda interna e agli investimenti.

Sul versante opposto, lo scenario internazionale continua a essere caratterizzato da forte incertezza: il protrarsi dei conflitti, unito ai mutevoli e sempre più complessi rapporti tra Europa e Stati Uniti, comportano continui cambiamenti nel quadro geopolitico, rendendo difficile la programmazione di attività economiche e investimenti. Ne derivano un aumento del risparmio precauzionale da parte delle famiglie e la recente svalutazione del dollaro, che tende a penalizzare la crescita del PIL italiano attraverso un peggioramento delle condizioni di scambio.

Anche i dazi rappresentano un fattore di rischio: un incremento delle barriere commerciali, ha avvertito Fontana, potrebbe incentivare la delocalizzazione delle imprese italiane verso gli Stati Uniti, spingendole a trasferire all'estero parte della capacità produttiva per evitare costi aggiuntivi.

Infine, la dinamica della produzione industriale resta debole: Italia e Germania registrano un rallentamento continuo dal 2023, soprattutto se confrontate con Francia e Spagna. Il settore automotive è emblematico di queste criticità: le immatricolazioni rimangono su livelli strutturalmente più bassi e scende la produzione nazionale, anche a causa della debole domanda dovuta ai prezzi elevati dei veicoli. Parallelamente aumenta l'import, in particolare dalla Cina, che può vantare un vantaggio competitivo nella produzione di auto ibride ed elettriche.

Mobilità ed emissioni, evoluzione del trasporto su strada e decarbonizzazione

Le normative europee per ridurre l'impatto emissivo del settore trasporti sono confuse e contradditorie e mancano di "ecorazionalità", in quanto le regole imposte al parco circolante sono diverse da quelle previste per il parco immatricolato, compromettendo il raggiungimento degli obiettivi. È quanto affermato da Ennio Cascetta, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Filippo Caracciolo e Coordinato Scientifico dell'Osservatorio SUNRISE MOST.

Il lavoro svolto dall'Osservatorio è stato innanzitutto quello di ricostruire dal passato fino al 2024 l'inventario delle emissioni del trasporto stradale, e prevedere futuri scenari dal 2024 al 2034, anno prima della scadenza del 2035, in cui è previsto il bando dei veicoli endotermici.

Uno degli elementi emersi dall'analisi è che le stime si basano spesso su un dato storico distorto, che sovrastima il numero di veicoli effettivamente circolante comprendendo veicoli ancora immatricolati ma non più circolanti su strada e non tenendo conto del minore numero di chilometri percorso dai vecchi veicoli.

Ciononostante, è pur vero che il mercato continua a privilegiare il consumo: oggi il 58% delle nuove immatricolazioni riguarda vetture di segmento medio-grande (SUV e crossover), più pesanti e responsabili di maggiori emissioni.

In sintesi, anche tenendo conto di tutte le variabili, le ipotesi formulate basate sulle politiche attualmente in atto delineano uno scenario poco incoraggiante. "Se anche le cose andassero benissimo, non saremmo comunque decisamente in grado di raggiungere gli obiettivi dell'Ue", ha spiegato Cascetta.

Integrare l'IA per competitività settore energetico

La crescita futura dell'economia globale dipenderà dalla capacità di produrre più energia per alimentare l'intelligenza artificiale, una tecnologia destinata a trasformare radicalmente la produttività. Ne è convinto Stephen Anderson, Ministro Consigliere per gli Affari Economici, Ambasciata degli Stati Uniti d'America in Italia, che nel suo intervento ha offerto una panoramica delle politiche americane in materia di energia.

Al centro della visione dell'amministrazione Trump, ha spiegato, c'è il principio della energy addition, in contrapposizione all'idea di energy transition: per sostenere una domanda in costante crescita non basta sostituire le fonti esistenti, ma occorre aggiungerne di nuove, ampliando la capacità complessiva. A questo scopo, gli Usa stanno lavorando per ridurre la burocrazia che soffoca lo sviluppo di tecnologie avanzate, un processo che consentirà al Paese un risparmio di 11 miliardi di dollari.

In questo contesto, Washington vede nell'Italia un partner privilegiato per l'utilizzo dell'AI nel settore energetico, e auspica di lavorare insieme per rafforzare la sicurezza energetica dei due Paesi.

Anderson ha infine ricordato le parole dell'ex presidente del Consiglio Mario Draghi, che proprio la scorsa settimana ha messo in guardia l'Europa sul rischio di rimanere indietro sull'AI: se continuerà ad ostacolarne l'adozione e non colmerà il divario con gli avversari, il continente rischia un futuro di stagnazione, compromettendo la propria crescita economica. Per scongiurare questo scenario, ha sottolineato, è essenziale colmare il divario tecnologico sfruttando il potenziale dell'innovazione.

Articolo di Daniela Marmugi